Nata nell' acqua sporca - Giuliana Vitali
- Salvatore Amorello
- 3 set
- Tempo di lettura: 2 min

Ci sono libri che non si limitano a essere letti, ma che ti trascinano con la forza di una corrente impetuosa. Nata nell’acqua sporca è uno di questi: si apre come una ferita e, pagina dopo pagina, costringe il lettore a restare dentro, senza possibilità di fuga.
Giuliana Vitali non scrive per commuovere o per giustificarsi: scrive per testimoniare, per scolpire sulla carta la memoria di un vissuto che è insieme personale e collettivo.
Il racconto attraversa scenari durissimi: tossicodipendenza, violenza, carcere, abbandono. Eppure la scrittura non è mai vittimistica. Al contrario, ha una secchezza precisa, quasi chirurgica, che trasforma ogni episodio in un colpo dritto allo stomaco. A tratti sembra un verbale di sopravvivenza, altre volte una poesia urbana che affiora dal cemento. È proprio in questo equilibrio tra crudezza e lirismo che il libro trova la sua forza: la lingua diventa materia viva, capace di graffiare e allo stesso tempo di illuminare.
Il titolo non è una metafora ornamentale: l’acqua sporca è la sostanza stessa della narrazione. È la condizione in cui si nasce e da cui sembra impossibile affrancarsi, ma è anche lo spazio in cui si impara a resistere. La protagonista non cerca sconti né complicità: racconta ciò che è stato, con la lucidità di chi ha imparato che la verità, per quanto scomoda, vale più di qualsiasi artificio letterario.
Nata nell’acqua sporca non è una lettura rassicurante. È una traversata che mette a nudo il lato meno raccontato della società, quello che molti preferiscono ignorare. Ma proprio per questo è un libro necessario. Perché ci ricorda che la dignità non nasce nei salotti levigati, ma può emergere anche nel fango, tra crepe, ferite e sopravvivenza quotidiana.






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