Michele Puca
Sono un cittadino di Sant’Antimo, nato a Napoli nel 1977. Cultore di Storia
locale, mi sono laureato in Scienze Politiche nel febbraio 2003 con una tesi in Storia Economica dal titolo “Sant’Antimo al tempo di Carlo di Borbone. Economia e società”.
Dall’ottobre dello stesso anno presto servizio presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Ho già pubblicato nella Collana Atellana edita dal Comune di Sant’Antimo, le monografie “Sant’Antimo nel Settecento. Un contributo di storia economica” (2007) e “Sant’Antimo al tempo dei Napoleonidi (1806-1815). Economia e società tra riforme e rivoluzioni” (2013).
Collaboro al blog fb Il Santantimese, divulgando contributi di politica, attualità, storia, cultura e sport della città di Sant’Antimo, raccolti nel 2022 nell’ebook “Il libro del primo lustro (ottobre 2017-ottobre 2022)”.
Il mio ultimo libro “Dalla caduta del fascismo ai tempi di Arenella. Sant’Antimo dal 1944 al 1966” è giunto tra i finalisti della sezione saggistica inedita al Premio Nabokov 2023. Nel febbraio 2024 è stato poi pubblicato nella Collana Atellana, sia in versione cartacea che in formato epub (https://www.collanaatellana.it/)
INTERVISTA ALL'AUTORE
Cosa ti ha spinto a scrivere questo saggio?
La scintilla che ha dato origine alla ricerca e alla scrittura di questo libro è stato un semplice e comunissimo messaggio whatsapp che una mattina, agli inizi dell’autunno del 2020 (un periodo in cui si usciva e si rientrava nei lockdown), un amico mi inviò: precisamente si trattava di una foto di una mozione consiliare del 1955 di Giovanni Arenella, con la quale chiedeva al Consiglio comunale di Sant’Antimo un voto in favore dei contadini santantimesi. Incuriosito dall’oggetto della foto, gli chiesi dove si trovava. Mi rispose che era al 5° piano della Casa comunale e, in attesa di incontrarsi con uno dei tre Commissari straordinari che all’epoca reggeva il Comune, stava sfogliando i faldoni, lì stipati, delle vecchie delibere consiliari che contenevano tante mozioni e interpellanze simili. Incuriosito e attratto dalle vecchie carte, mi feci accompagnare per poter verificare personalmente: tutte quelle delibere consiliari, dalla metà degli anni Cinquanta ad oggi, organicamente conservate e rilegate in faldoni, mi apparvero come uno scrigno prezioso da decriptare per scrivere una pagina di storia dimenticata della mia città. Il Commissario prefettizio, autorizzando la mia presenza, prima al 5° piano della Casa comunale per visionare e fotografare quelle carte; e poi autorizzando la mia presenza negli scantinati del Comune dove è conservato l’Archivio storico della città e le delibere ancora più retrodatate, quella scintilla l’ha poi fatta divampare. E da quell’incendio un libro, anziché bruciare, ha preso vita!
Quali sono le fonti principali che hai usato per la ricerca?
Oltre alle delibere di Consiglio e Giunta comunale di Sant’Antimo, conservate nell’Archivio storico del Comune, che rappresentano l’ossatura del volume, la ricerca è stata impreziosita da una fonte scovata, con un misto di caparbietà e fortuna, presso l‘Archivio Centrale di Stato a Roma: si tratta di diverse delibere “scomparse” dall’archivio comunale, oltre che di missive della Prefettura al Ministero dell’Interno e, soprattutto, di una relazione redatta da una Commissione di inchiesta che nel 1947, durante la prima consiliatura del dopoguerra, fu chiamata ad indagare sulla cattiva amministrazione del periodo transitorio, quando, dopo l’abolizione dei Podestà, il Sindaco provvisorio di nomina prefettizia, insieme ad altri funzionari comunali, operò una serie di irregolarità contabili e amministrative in danno al Comune e a loro vantaggio. Come detto, quasi tutte le carte che trattavano della questione, compresa la famosa relazione della Commissione di inchiesta, sono risultate irreperibili nell’archivio comunale, mentre, per fortuna, erano conservate in copia all’Archivio centrale di Stato a Roma, dove furono inviate dagli amministratori protempore, perché all’epoca sottoposte all’attenzione del Gabinetto del Ministero degli Interni.
Vi sono poi importanti documenti ritrovati nell’Archivio di Stato di Napoli che hanno permesso di ricostruire il caso di epurazione fascista che a Sant’Antimo fece maggiormente clamore, perché legato all’amministrazione della Cappella del Santo Patrono verso il quale esiste da secoli una forte devozione popolare; e altre fonti spulciate dall’archivio di questa Cappella, che hanno portato alla luce una gestione amministrativa e contabile della stessa non sempre idilliaca e le ingerenze ecclesiastiche e politiche che gravavano sulla Cappella stessa.
I censimenti Istat del 1951 e 1961 hanno contribuito, invece, a ricostruire l’incremento urbanistico e delle attrezzature collettive, la struttura della popolazione, l’andamento demografico, la stratificazione sociale e il livello di istruzione.
Ma non basta. Uno sguardo all’emeroteca comunale ha consentito di arricchire il volume con gli articoli de Il Mattino che narravano alcune delle stesse vicende citate nelle fonti archivistiche.
Le foto, infine, chieste a discendenti e conoscenti dei politici locali protempore, danno un volto ai protagonisti del libro.
Come hai gestito la grande quantità di informazioni?
Quando si inizia una ricerca, lo sviluppo di un libro è un po’ come quello di un embrione: sfugge dal controllo e si modifica e prende forma con una certa autonomia. Infatti, di fronte a tutta quella documentazione, la mia idea originaria era quella di redigere una sorta di “Almanacco santantimese” (che è anche il titolo che originariamente avevo pensato di dare al libro) che arrivasse fino ai giorni nostri. Successivamente, però, un nome, una data, un evento mi hanno spronato ad approfondire la ricerca e a focalizzarla analiticamente su un periodo più ristretto, il ventennio che va, per l’appunto, dalla Caduta del fascismo alla morte di Arenella (1966). Un periodo storico, cioè, che a Sant’Antimo chiude un’epoca, perché il notabilato locale, da classe dirigente egemone – che tanta parte ebbe anche nel precedente periodo fascista – fu gradualmente raggiunta e superata, nel giro di un ventennio, dal partito comunista, che intanto dal 1952 andava riorganizzandosi proprio con l’invio a Sant’Antimo di Giovanni Arenella. Arenella non era di Sant’Antimo, ma fu inviato in paese dalla segreteria provinciale del partito per dirigere e riorganizzare la sezione locale. Grazie a quest’uomo (eletto intanto per due volte anche alla Camera dei deputati) nel periodo che va dal ‘52 al ‘66 quella dei comunisti a Sant’Antimo sarà una crescita lenta, ma progressiva, costante, e soprattutto omogenea, che culminerà nel 1966 con la prima vittoria elettorale dei comunisti, che nel libro definisco “effimera”, perché Arenella morirà tragicamente appena 9 giorni dopo la sua agognata elezione a Sindaco di Sant’Antimo.
Ad ogni modo, la vittoria elettorale di Arenella non fu inutile, perché l’eredità lasciata da Arenella darà i suoi frutti nel ventennio successivo, durante il quale il Partito comunista riuscirà a governare la città, non senza criticità, sotto l’egida del suo successore Diego del Rio.
Ma questa è un’altra storia, che mi propongo di raccontare in un futuro non troppo lontano…
Hai esplorato prospettive o punti di vista diversi nel tuo saggio?
Jean Jacques Rousseau sosteneva che “di ogni storia ci sono sempre quattro versioni: la tua, la loro, la verità e ciò che è davvero successo”. Ebbene, nel corso di questa ricerca, confrontandomi con alcuni protagonisti di questo libro, o con loro contemporanei e discendenti, che qualche ricordo, a volte vago, dei fatti narrati conservavano, ho appurato quanto effettivamente uno stesso personaggio o uno stesso evento possa essere riportato in maniera diversa, se non diametralmente opposta, a seconda di ricordo soggettivo che influenza le proprie reminiscenze. Se alcuni, per esempio, rammentano i comunisti formatisi attorno alla figura di Giovanni Arenella come “asini e facinorosi allo sbaraglio”, dal racconto di altri la passione politica degli stessi viene esaltata fino a diventare “mito ineguagliabile” dalle giovani leve della politica locale; oppure, se taluni amplificano le gesta del proprio ascendente “eletto con un plebiscito” – che in qualche caso non c'è neanche stato – talaltri manifestano dubbi sulla moralità politica della stessa persona.
In questo intricato groviglio di versioni, pur ritenendo importante dare ascolto anche a testimonianze orali, se non altro per valutare riscontri o smentite, per mantenere un oggettivo equilibrio ho cercato di rimanere impermeabile ai commenti di parte, basando la narrazione prevalentemente sulla sterminata documentazione ritrovata e su una cospicua bibliografia, sufficienti, credo, a delineare, se non un quadro completo, almeno dei tasselli abbastanza rappresentativi di quanto accaduto a Sant'Antimo dalla caduta del fascismo alla morte di Giovanni Arenella.
Cosa speri che i lettori portino con sé dopo aver letto il tuo saggio?
Ho dedicato questo saggio alle mie figlie e a tutti i figli di questa città che ai padri hanno tanto da condonare per come gliela stiamo consegnando. Vedete, una ricerca di storia può riportare alla luce anche fatti e circostanze imbarazzanti, che non sempre danno lustro alla città. Io credo che il dovere dello storico sia disseppellirli dal folto strato di oblio e raccontarli, senza condizionamenti e in maniera oggettiva. Credo sia doveroso ridare memoria anche a fatti poco felici della nostra storia, fatti caduti nel dimenticatoio, che possono aiutarci a comprendere le cause antiche dei problemi che vive oggi una comunità locale. Antonio Gramsci ha scritto che “l'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari”. Io immagino un nostro nipote o pronipote che fra ottanta-cento anni vorrà scrivere un libro sulla storia di questa comunità sui primi venti anni del Duemila: cosa gli riveleranno i documenti che troverà negli archivi? cosa leggerà nelle pagine di giornali che sfoglierà nelle emeroteche? quali testimonianze orali raccoglierà dai suoi nonni che ricorderanno gli anni che noi oggi stiamo vivendo?: scioglimenti per infiltrazioni camorristiche, inchiesta Antemio, progetto Jessica, degrado urbanistico, familismo amorale, abusivismo edilizio e via dicendo… Sarà colpa di questo nostro discendente se fra cento anni racconterà ai suoi contemporanei – ai nostri posteri – questi eventi di cui troverà traccia nei documenti? O piuttosto sarà colpa nostra che siamo i protagonisti di questi eventi e li abbiamo vissuti, li abbiamo generati? E, se non siamo noi a generarli, siamo comunque spesso incapaci di contrastali? Perché, come canta Giorgio Gaber in “Destra-Sinistra”, “tutti noi ce la prendiamo con la storia, ma io dico che la colpa è nostra”. Quindi, l’auspicio è che la storia possa aiutare a valutare con cognizione di causa cosa ha determinato il presente che viviamo e a spronare le generazioni future a commettere meno sbagli di quelli commessi da noi e dai nostri ascendenti.
ROMANZO FINALISTA PREMIO NABOKOV 2023
(Sinossi)
A partire dal secondo dopoguerra, il notabilato santantimese influenzerà la composizione delle istituzioni locali per almeno altri due decenni, incontrando una resistenza sempre più strutturata del P.C.I. fino all’elezione a Sindaco, nel 1965, di Giovanni Arenella e la nomina di una Giunta monocolore comunista. Attraverso la lettura di documenti ritrovati in diversi archivi locali e nazionali e l’analisi dei censimenti Istat, il volume narra la storia del ventennio politico e sociale di Sant’Antimo che va dalla caduta del regime fascista alla morte del leader comunista. Per ciascuna delle cinque consiliature trattate, il testo riporta alla luce nomi, accadimenti e retroscena, perlopiù sconosciuti o dimenticati, che hanno contribuito, nel bene o nel male, allo sviluppo e alla storia della città di Sant’Antimo, dai tentativi di epurazione fascista alla lotta politica, dalla ricostruzione post-bellica agli albori del boom economico, dalla genesi della disordinata espansione urbanistica alla struttura sociale della popolazione. Trame, intrighi ed alleanze che condizioneranno, inevitabilmente, il percorso di una comunità e l’avvenire delle future generazioni.
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