Marco Fimiani
Nato a Pescara, risiedo attualmente a Chieti, dove insegno Matematica e Fisica presso il Liceo Scientifico Statale “F. Masci”.
Suono il pianoforte e ho composto una Messa per soli, coro e orchestra. Ho dedicato la mia passione per il cinema comico alla stesura di un saggio intitolato La sala d’aspetto. La comicità è un affare terribilmente serio, ma amo scrivere anche poesie e racconti.
INTERVISTA ALL'AUTORE
Cosa ti ha spinto a scrivere questo saggio?
Principalmente la passione che nutro sin da bambino per il cinema
comico, una passione che ho continuato a coltivare nel corso degli anni
alimentandola con la visione di innumerevoli film appartenenti a
epoche diverse, scelti tra corto, medio e lungometraggi, e con la lettura
di saggi scritti dalle più influenti personalità del settore. Ho poi voluto
approfondire quanto leggevo e vedevo, tentando di costruire e di
offrire una mia personalissima visione.
Come hai deciso il titolo del saggio?
La scelta del titolo vuole essere un atto di omaggio nei confronti di un
grande maestro del cinema comico quale Jacques Tati. Non sono molti
i film comici ad aver ottenuto un Premio Oscar, Tati ci è riuscito con
“Mon Oncle” nel 1958. È vero che il lavoro del saggista non può
essere condizionato da gusti o da predilezioni particolari perché ne
soffrirebbe il processo di obiettività, ma in questo caso parlerei di un
interessamento, neanche troppo velato, nei confronti di un autore che
ha saputo rinnovare il linguaggio del cinema comico, svincolandolo
decisamente dai legami abbastanza forti con la slapstick comedy e
portandolo su un terreno di assoluta magnificenza artistica. In una
particolare scena tratta dal suo capolavoro “Playtime” (1967), Hulot,
il protagonista, si trova in una sala d’aspetto in attesa di essere ricevuto
per un colloquio di lavoro. Si muove con fare circospetto nel suo
tradizionale abito di scena composto da cappello, impermeabile,
ombrello, pantaloni corti che mettono in risalto i calzini colorati. Tasta
la consistenza di alcune poltrone, osservato dagli sguardi avidi e
fortemente curiosi di strani personaggi ritratti nei quadri che affollano
le pareti. Il comico ama i contrasti, è un feroce osservatore della realtà
che lo circonda e rappresenta le anormalità del tessuto sociale.
Come hai selezionato i materiali e le fonti per il saggio?
Ho attinto da alcune fonti imprescindibili per chi voglia accostarsi con
spirito critico a questo settore. Ovviamente è necessario avere un
contatto diretto con la visione dei film, tratti da epoche diverse e
interpretati da comici, più o meno importanti, che è necessario
conoscere. YouTube è un riferimento imprescindibile e una fonte
privilegiata. Ovviamente attingo anche dall’abbondante materiale già
in mio possesso sotto forma di dvd e blue-ray.
Quale parte del saggio ritieni la più innovativa o originale?
Quella dove provo a offrire un mio personalissimo contributo alla
definizione di un tipo particolare di gag, ovvero il “gag strutturato”.
Ne parlo citando due esempi tratti rispettivamente da “Cops” di Buster
Keaton e da “The Immigrant” di Charlie Chaplin, assoluti capolavori
della cinematografia mondiale.
C’è un capitolo o una sezione che ti sta particolarmente a cuore?
Il capitolo 6, dove riporto quattro episodi particolari legati alle vicende
biografiche di Tati, Stan Laurel e Totò. Nel primo il cineasta francese,
nei giorni che precedettero il ritiro della preziosa statuetta dell’Oscar,
alla domanda se avesse preferito conoscere Sophia Loren o Gina
Lollobrigida, rispose candidamente di voler incontrare “The King of
Comedy” ovvero Mack Sennett. Nel secondo, lo stesso Tati rinunciò a
un ghiotto contratto per “Mon Oncle” perché il produttore aveva
rimproverato troppo duramente il maldestro comportamento di un
giovane cameriere nella sala del ristorante dove stavano pranzando.
Nel terzo, Stan Laurel ebbe l’occasione di rincontrare Charlie Chaplin
a Beverly Hills dopo trent’anni e i due passarono un intero pomeriggio
a rivangare i vecchi tempi passati nella compagnia di Fred Karno e si
lasciarono andare all’onda dei ricordi. Nel quarto, De Sica fu
rimproverato da Totò perché, nel suo film “L’Oro di Napoli”, aveva
inserito l’episodio del guappo, interpretato dal grande comico
napoletano, proprio all’inizio, contravvenendo così alla regola classica
del teatro secondo cui il mattatore deve sempre entrare in scena per
ultimo.
SAGGIO FINALISTA PREMIO NABOKOV 2023
La sala d'aspetto
(Sinossi)
Questo saggio racchiude spunti di riflessione sullo straordinario mondo della comicità cinematografica e cenni biografici sui più grandi attori e autori comici.
Richiamo alcuni film che rappresentano ormai grandi classici. L’obiettivo che mi propongo è quello di risvegliare, soprattutto nei più giovani, l’interesse per la vera arte della comicità, in particolar modo per quella più strettamente visiva.
Cito fonti autorevoli e testi di riferimento nel ramo, mostro foto la cui autenticità è attestata.
Pervengo a conclusioni che ritengo essere molto personali e che sono opinabili, ma, come in ogni campo, attingo dalle ragioni oggettive della conoscenza storica di ciò che tratto.
Il titolo del saggio richiama da vicino una delle scene più emblematiche del cinema di Jacques Tati, uno dei miei autori preferiti.
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