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Errata Complice - Stefania Giammillaro


Errata Complice

Un libro che non si legge. Si attraversa. Si subisce.

E poi, se hai coraggio, si abbraccia.


C’è qualcosa di profondamente disturbante e al tempo stesso liberatorio in questo libro. Non è una raccolta di poesie, Errata Complice è un corpo che si muove tra le pagine. È il corpo di una donna, di una figlia, di un’amante, di una madre e di una creatura spezzata. È un corpo che ha subito e resistito. Che ha amato fino al punto da annullarsi. Che ha preso botte visibili e invisibili. E che ha avuto, alla fine, la forza di guardarsi allo specchio e dire: “Ora basta. Ora parlo io.”


Stefania Giammillaro non cerca la bellezza nella forma, la bellezza arriva per caso, quando meno te l’aspetti, come un bagliore tra le macerie. Le sue poesie sono fitte, stratificate, spesso al limite dell’inquietudine. Parlano di abusi — emotivi, fisici, verbali — e lo fanno con parole che non chiedono il permesso. Non c’è retorica, non c’è pietismo. C’è solo verità. E la verità, qui, fa male.

L’inizio è un pugno nel petto:



Viaggiano le perplessità dei giorni

lungo le crepe degli affanni.

La vanità dei tempi muore

impigliata tra setole arrese agli ultimi capelli bianchi

Dimentico è il volo

sulla curva delle scale quando la terra trema

e il coltello è mantra devoto

sui ceri spenti di un baccanale



E già si capisce che non se ne uscirà illesi. I versi sono costruiti come stanze di una casa che brucia: li attraversi sapendo che ogni passo potrebbe crollarti sotto i piedi.


Il Peccato, La Colpa, Il Perdono. Ogni parte della raccolta è una tappa di un percorso interiore che somiglia a un rito di espiazione. La narrazione poetica prende la forma di un’autobiografia intima e scomoda. In ogni poesia, l'autrice mette a nudo il fallimento di una relazione tossica, il peso del giudizio sociale, il condizionamento della famiglia, l’eredità di un’educazione in cui la donna deve sacrificarsi, tacere, obbedire.

Ed è qui che la sua poesia si fa politica. Perché la voce dell’ IO poetico diventa la voce di molte, troppe donne. È una poesia confessionale, ma anche militante, come un’arma che non spara, ma squarcia.



Stefania Giammillaro


Il dialetto: la lingua della ferita originaria

E poi c’è l’epilogo, scritto in siciliano. Ed è lì che la poesia si fa terra, radice, sangue. È come se, dopo aver raccontato tutto in lingua “ufficiale”, servisse un’altra voce — quella vera, quella cruda, quella infantile e ancestrale — per dire l’indicibile. La Giammillaro torna bambina, madre e oracolo insieme, e ci lascia in eredità una ninna nanna che è anche condanna, un testamento affilato come il silenzio che ha dovuto ingoiare.


Nun viru nun parru nun sientu

ma vi lassu a testamento

na cunnanna

na ninna nanna d’amuri

ca comu sciroccu

ciusciando rina, vi ricuorda:

L’uocci aggiuvanu a taliari

sulu quannu ru cori

nun c’è chiù nenti ri pigghiari.



Errata Complice è un titolo che ha già dentro tutta la parabola. È l’ammissione dolorosa ma necessaria che, in certe relazioni, si diventa complici della propria prigionia. Non per scelta, ma per abitudine. Per educazione. Per paura. Stefania lo sa. Lo scrive. Lo rompe. E ce lo restituisce. A tutti noi. Perché possiamo riconoscerci, smettere di tacere, cominciare a scrivere la nostra storia.


Leggere questo libro è come passare sotto una tempesta e uscirne con la pelle nuova. Non è semplice. Non è gradevole. Ma è catartico.

È un libro che ti chiede di essere pronta. Di essere onesta con te stessa. Di non aspettarti salvezza, ma possibilità.

Se ami la poesia che accarezza, lascialo sullo scaffale, ma se vuoi una poesia che dice tutto quello che nessuno ha il coraggio di dire, allora Errata Complice è per te. Anzi, è per noi!




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