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Nel tempo che non c’ è - Osvaldo Pasello

Aggiornamento: 23 giu


Nel tempo che non c’è - Osvaldo Pasello

Nel tempo che non c’ è è un saggio in cui Osvaldo Pasello affronta con rigore filosofico e sensibilità umanistica uno dei temi più abissali e universali della condizione umana: il tempo. Non il tempo cronologico dei calendari, ma il tempo interiore, esistenziale, quello che scorre “dentro” e che, secondo l’autore, ha perso oggi la propria direzione.



Il pregio più notevole del saggio risiede nella sua struttura polifonica. Pasello intreccia storia delle religioni, scienza contemporanea, filosofia occidentale e orientale, poesia e neuroscienze per restituire un quadro complesso e stratificato del nostro rapporto con il tempo e con la morte. Si muove con disinvoltura tra Anassimandro ed Einstein, tra il Rgveda e Kant, passando per Borges, Montale, Leopardi e l’astrofisica moderna, in un tessuto ricchissimo e sapientemente orchestrato.


Il tempo non è mai trattato come un dato assoluto o lineare,

ma come esperienza soggettiva e culturale.


Attraverso una lunga genealogia che va dal culto dei morti neolitico alle teorie della relatività, l’autore mette in crisi la visione lineare e finalistico-religiosa del tempo, ereditata dal pensiero monoteista occidentale, per riaprire la possibilità di un kairos (del momento giusto), un tempo opportuno.



La crisi del senso e la solitudine dell’Homo sapiens

Pasello parte da una constatazione esistenziale fondamentale: l’umanità è oggi orfana di certezze. Le religioni storiche, che per millenni hanno offerto risposte metafisiche rassicuranti, sono entrate in crisi irreversibile sotto i colpi della scienza moderna. Tuttavia, osserva l’autore, la scienza stessa non è in grado di colmare il vuoto lasciato dalla fine della fede: le sue risposte sono per natura provvisorie, fallibili, e non soddisfano la sete di significato dell’uomo.

In questo senso, il libro è anche una riflessione post-umanista: l’essere umano, “gettato” in un cosmo in espansione, privato di una direzione certa, si ritrova in una condizione di radicale solitudine. Una solitudine non soltanto ontologica, ma anche storica e culturale.




Osvaldo Pasello


Il Divenire come unica certezza

Una delle tesi centrali dell’opera è che l’unica verità che resta accessibile è quella del Divenire.

Tutto scorre, tutto cambia, tutto si trasforma — e su questo movimento perpetuo si possono ancora fondare etica, consapevolezza e forse anche speranza. Il Divenire, concetto centrale nel pensiero di Eraclito, viene qui ricollocato come fondamento esistenziale e cosmico, attraversando l’I Ching, il taoismo, le cosmologie orientali, ma anche la relatività einsteiniana e la neurobiologia del tempo.

In un passaggio fondamentale, l'autore si interroga:


“Siamo tenuti uniti dalla scia del ricordo, abitati da tante identità che si susseguono?”


Il tempo non è qualcosa in cui viviamo, ma qualcosa che ci costituisce. “Il tempo è la sostanza di cui siamo fatti”, scrive Borges, e Pasello fa sua questa affermazione per mostrare come la nostra identità stessa sia un processo, non un dato.


La morte, l’amicizia e il ritorno dell’amore

Nel trattare la morte, il saggio si spoglia di ogni dogmatismo e assume toni lirici e profondamente umani. Il capitolo dedicato alla sfida della morte è tra i più toccanti. Con riferimenti a Foscolo, Leopardi, Enzo Bianchi e Gabriel Marcel, Pasello propone che l’unica resistenza alla morte — in un mondo senza aldilà — sia l’amore, la memoria, l’amicizia. “Amare qualcuno è dirgli: tu non morirai”, scrive citando Marcel: un concetto che si erge a forma etica del nostro tempo desecolarizzato.



L’autore non cede né allo scientismo né a un ritorno nostalgico alle fedi. Mostra rispetto per la scienza ma evidenzia i suoi limiti epistemologici, specialmente quando si tratta di questioni ultime (origine dell’universo, natura della coscienza, fine del tempo). La fisica quantistica, la teoria dei multiversi, l’ipotesi della Seity proposta da Federico Faggin diventano strumenti per aprire nuove domande, non per chiudere il discorso.


L’eleganza di questo saggio sta anche nel suo stile: sobrio, nitido, capace di veicolare riflessioni complesse con chiarezza e misura. Pasello scrive con una voce che guida, non ostenta; accompagna il lettore anche nei passaggi più densi di filosofia e scienza, mantenendo un tono narrativo-argomentativo che rende la lettura avvolgente. Nel tempo che non c’è non pretende di offrire certezze, ma aiuta a formulare meglio le domande — e in un tempo come il nostro, privo di bussole e saturo di opinioni, è forse il dono più prezioso che un libro possa offrire.




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