Lorenzo Beccati - Intervista all'autore di La notte delle scimmie
- Salvatore Amorello
- 13 apr
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 6 giorni fa
Lorenzo Beccati
Lorenzo Beccati (nato a Genova il 17 settembre 1955) è una delle figure più originali e versatili del panorama culturale italiano.
Scrittore raffinato e autore televisivo di lungo corso, Beccati ha saputo coniugare con rara maestria narrazione e intrattenimento, attraversando con successo diversi linguaggi e registri espressivi.
La sua carriera televisiva è legata indissolubilmente a uno dei programmi più iconici della televisione italiana: Striscia la Notizia, dove ha operato come autore sin dalle prime edizioni, contribuendo in maniera decisiva allo stile pungente e satirico del format. È celebre, inoltre, per essere la voce del personaggio del Gabibbo, mascotte simbolo della trasmissione, che interpreta fin dal 1990, con il suo inconfondibile timbro cavernoso e ironico.
Parallelamente, Beccati ha sviluppato una notevole carriera letteraria, distinguendosi per la sua scrittura colta e avvincente. Ha pubblicato numerosi romanzi, spesso ambientati tra passato e presente, in cui storia, mistero e critica sociale si fondono con grande equilibrio. Tra i suoi titoli più noti si segnalano Il pscatore di Lenin, Il resuscitatore e La notte delle scimmie, opere che rivelano una profonda conoscenza e passaione per la storia e una sensibilità particolare nel tratteggiare personaggi marginali o dimenticati.
La sua scrittura è caratterizzata da uno stile agile e suggestivo, capace di attrarre lettori di generazioni diverse.
Beccati rappresenta un raro esempio di autore capace di muoversi con efficacia tanto nel mondo della televisione generalista quanto in quello della letteratura di qualità. La sua carriera è il frutto di una passione autentica per la comunicazione, nutrita da una curiosità intellettuale instancabile e da una rara capacità di ascolto del mondo che lo circonda.
Intervista a Lorenzo Beccati
La sua vasta esperienza artistica oscilla con sorprendente naturalezza tra la satira graffiante e la profondità letteraria dei suoi romanzi storici. Sono due anime in contrasto o due sfumature complementari dello stesso sguardo autoriale?
La creatività è una, sebbene con un numero infinito di varianti. Credo che la satira e la storia siano patenti stretti. Entrambe servono a una maggiore conoscenza e interpretazione degli accadimenti. E passare dall’una all’altra è esaltante, un esercizio da giocoliere.
Scrivere per la televisione e scrivere narrativa: due forme espressive diverse, due ritmi, due immaginazioni. Quali sono, per lei, le differenze più profonde e le affinità tra queste due forme di racconto?
Credo che la differenza maggiore stia nel fatto che scrivere per la tv è un lavoro collettivo. Passa per diverse “mani” fino ad essere interpretato dal regista e soprattutto dagli attori. Mentre i libri sono creazioni intime e personali.
Guardando alla sua carriera con sguardo retrospettivo, c’è un’opera o un momento preciso che ritiene emblematico della sua voce d’autore?
Di certo “Drive In” il programma di Antonio Ricci entrato nell’Olimpo della storia della tv. Una palestra formidabile per tutto ciò che poi ho realizzato in futuro, romanzi compresi.
Se avesse la possibilità di sedersi faccia a faccia con uno dei suoi personaggi quale sceglierebbe di intervistare? Quale sarebbe la prima irrinunciabile domanda?
Direi Lenin protagonista del mio romanzo Il pescatore di Lenin. Mi piacerebbe incontrarlo per chiedergli se, ora che sappiamo come è finita, rifarebbe la Rivoluzione. E quanto ci credesse anche allora. In gioventù ho letto molti suoi scritti e Lenin mi troverebbe preparato. Chissà se sarebbe lusingato.
Nei suoi romanzi si avverte un’attenzione quasi musicale per il ritmo narrativo, per la costruzione delle scene, per la suspense. Quanto della sua lunga esperienza televisiva entra nella regia invisibile della sua scrittura letteraria?
Molto. Direi che le due forme di scrittura non sono dissimili. Uso capitoli brevi che finiscono con un interrogativo per invogliare al successivo. Come per la tv, che ha tempi brevi, scelgo con cura le parole, non ne spreco. Anche il ritmo incalzante e i colpi di scena continui sono mutuali dal lavoro di autore. I lettori come i telespettatori sono esigenti e non vanno annoiati.
Nei suoi romanzi storici, l’equilibrio tra documento e invenzione è raffinato. Come riesce a dosare fedeltà storica e libertà narrativa? Ha mai sentito la responsabilità nel dare forma romanzesca alla memoria storica?
Francamente non ho alcun rimorso a mischiare realtà e finzione. Devo però dire che per i personaggi realmente esistiti mi dedico a estenuanti ricerche e cerco sempre di attenermi al loro carattere e, conoscendone a fondo la vita, di capire come si comporterebbero in ogni frangente della mia storia.
La notte delle scimmie illumina un episodio ai margini della storiaì scientifica, restituendogli voce e tensione narrativa. Cosa l’ha affascinata nella figura enigmatica di Serge Voronoff?
Voronoff era un visionario. Le sue operazioni d’innesto tra scimmia e uomo erano celebrate e imitate in tutto il mondo. Di lui hanno parlato e scritto Conan Doyle, Bulgakov, Trilussa, Svevo. Ricchissimo, stimatissimo, poi ignorato dalla Scienza che lo ha ripudiato ,è finito nel dimenticatoio. Infatti, lo si ricorda solo per il famoso “Filetto alla Voronoff” presente in molti menù dei ristoranti.
Martin Giles è molto più di un detective: è un uomo attraversato da dubbi, intuizioni, contraddizioni. Come nasce un personaggio di tale complessità? Prende ispirazione dal reale o si tratta di una figura simbolica, costruita per interrogare il lettore?
Martin Giles è un personaggio totalmente inventato. O forse no. Potrebbe essere la summa degli investigatori di carta che mi hanno tenuto compagnia nelle miriadi di libro che ho letto.
In La notte delle scimmie si respira una profonda riflessione sul confine tra progresso e morale, tra conoscenza e responsabilità. Quanto ritiene importante, oggi, usare la narrativa per porre domande etiche?
A volte la narrativa sconvolge il pensiero comune e funge da cattivo esempio, ma pur sempre un esempio. Credo che i libri non debbano fare la morale a nessuno ma di certo spronare ad averne una.
L’esperimento di Voronoff, al centro del romanzo, ruota intorno al desiderio umano di controllare la natura e superare i limiti biologici. Crede che oggi questa tensione sia ancora più forte, alla luce delle tecnologie e dell’intelligenza artificiale?
Anche passare dal cavallo all’automobile pareva una follia, poi sappiamo come è andata! L’intelligenza artificiale è un ottimo strumento che ci faciliterà la vita, ma “le briglie” devono essere tenute ben salde.
(Sinossi)
Ventimiglia 1936. Nel castello di Serge Voronoff sono rinchiuse in una gabbia ottanta scimmie. Servono allo scienziato per le operazioni d'innesto di tessuto tra animale e uomo. Una notte la vita del castello è sconvolta da un delitto anomalo.
A indagare è chiamato un investigatore privato, acuto e convenzionale, Martin Giles. Nonostante la sua presenza gli omicidi non si fermano, generando sospetti e odi tra gli abitanti del castello. È fra loro che si cela l'assassino? In un susseguirsi di colpi di scena, l'ineluttabile epilogo sconcerterà tutti, ma il più turbato sarà proprio l'investigatore, Martin Giles.
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