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Immagine del redattoreSalvatore Amorello

Francesco Faraci - Intervista all'autore di Brancaccio


Francesco Faraci

Francesco Faraci


Francesco Faraci nasce a Palermo nel 1983. Dopo gli studi umanistici (Antropologia, Sociologia), nel 2013 trova nella fotografia il suo mezzo d’espressione e si forma attraverso le immagini dei grandi fotografi di scuola francese e americana (William Klein, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Robert Capa) cercando di rinnovare un linguaggio che altrimenti suonerebbe desueto. Si occupa di fotografia documentaria e reportage sociale. Al centro del suo lavoro c’è la sua terra, la Sicilia, della quale ama descriverne gli incroci culturali e i paradossi esistenziali (nascita e morte, gioia e violenza, la solitudine che si nasconde fra le pieghe della modernità) con un occhio particolare alle minoranze e ai minori che nascono, crescono e spesso si formano nelle zone disagiate e abbandonate della città, nelle periferie marginali. Per tali ragioni percorre in lungo e in largo le strade della sua terra e dei Paesi Mediterranei, raccontandone le storie attraverso progetti di lunga, media e breve durata.


Nel 2016 ha pubblicato Malacarne (Edizioni Crowdbooks), nel 2017 il romanzo Nella pelle sbagliata (Edizioni Leima), nel 2019 Jova Beach Party – cronache da una nuova era (Rizzoli). Ancora, ha pubblicato Atlante Umano Siciliano (Emuse Books) nel 2020 e Anima nomade – Da Pasolini alla fotografia povera (Mimesis Edizioni) nel 2022. Ha collaborato con importanti testate italiane e internazionali, tra le quali The Guardian, Time Magazine, Il Venerdì di Repubblica, Internazionale.




INTERVISTA ALL'AUTORE

 

Nel libro ci sono diversi punti in cui lei si racconta, racconta le sue esperienze di vita, anche fatti molto personali, i suoi ricordi d’infanzia ed esprime le sue opinioni in maniera molto sostenuta. Da cosa deriva questo prepotente bisogno di raccontarsi? Per farsi conoscere dai suoi lettori o per allontanare da sé qualche demone rimasto sepolto per troppo tempo?

Non mi era mai accaduto di sentire forte il bisogno di buttare fuori memorie e pezzi di vita. L’ho fatto e sono contento di averlo fatto perché fare i conti con sé stessi aiuta, non salva in alcun modo, ma almeno serve per arrotondare degli spigoli. E poi perché se non fossi stato io, per primo, a spogliarmi, non avrei potuto permettermi di approfondire, in maniera molto intima, l’identità degli altri.


in BRANCACCIO ci presenta un aspetto di Palermo ben lontano dalle sue più popolari caratteristiche: la storia, la cultura, l’arte, il cibo, l’ospitalità, cose di cui tutti noi siamo bene a conoscenza. Preferisce raccontarci di una Palermo che i Palermitani stessi tengono a nascondere, quasi ad ignorare. La Palermo in cui la povertà, la delinquenza, la sofferenza, la voglia di rivalsa, la rassegnazione, l’amore per i figli e l’attaccamento alla famiglia si fondono insieme per dare vita a mix unico.

È una caratteristica di tutto il mio lavoro, ma non sono sicuro di averla scelta io. Non ho mai ragionato secondo calcoli o convenienze. I luoghi come Brancaccio sono quelli da cui provengo, quelli che sono state davvero delle scuole di vita, luoghi che mi hanno svezzato, fatto essere quello che sono oggi. È stato naturale tornarci, raccontarli, perché per quel che mi riguarda lì, in quegli spazi, fra quella gente, si annida ancora l’essenza di una città. Poi si, c’è sicuramente un aspetto politico, di una politica “naturale”, ovvero l’attenzione e la cura nei confronti di coloro i quali hanno poca voce, quelli che volgarmente chiamiamo “ultimi”.


Dal suo punto di vista, c’è davvero speranza affinché certi modi di pensare e di essere possano cambiare? Brancaccio e Palermo possono cambiare?

Se viene meno la speranza è finita. C’è sempre, qualche volta un po’ in ombra, altre fa una luce incredibile ma non posso non credere -niente avrebbe senso altrimenti- che, come diceva Don Pino Puglisi: “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto” e nel processo, lento, di cambiamento, ognuno deve fare, o dovrebbe fare, la propria parte.


Non crede che uno dei principali problemi da affrontare sarebbe proprio far si che non venga ignorata l’esistenza di situazioni limite, e non limitarsi all’indignazione solo quando accadono fatti da prima pagina?

Ne sono profondamente convinto. Indignarsi è la miccia, ma il fuoco poi bisogna farlo divampare e per quello occorre un lavoro quotidiano, scevro da giudizi e pregiudizi. Smettere di voltarsi dall’altra parte, non cedere alla pigrizia, iniziare a non essere più indifferenti verso quello che accade è il primo passo di un lungo travaglio giornaliero.


Ha frequentato Brancaccio per diversi mesi, avendo diversi tipi interazioni con la gente del posto, dalle più frivole alle più profonde, di quelle che lasciano il segno. Una volta finito il libro, continuano i suoi incontri con le persone che danno vita a quelle strade? Cosa le hanno lasciato?

Non ho smesso di frequentare il quartiere e la gente che ci vive. Si sono venuti a creare rapporti profondi, che hanno trasceso i ruoli. Io non sono più il fotografo o “quello che sta scrivendo il libro”, sono uno di loro. È questo, infine, il senso di quello che faccio, cioè partecipare alle vite degli altri e permettere agli altri di partecipare alla mia.


La sua fotografia è un racconto pulito della vita di quartiere. Ha catturato momenti di vita quotidiana stupendi. Qual è la sua preferita?

Ogni fotografia è come un figlio. Difficile sceglierne una. Forse, quella a cui sono più affezionato è la bambina con le codine di spalle sullo sfondo di una zona “nuda” di Brancaccio.


Che fine ha fatto S.?

S. è vivo e lotta insieme a noi.



Copertina Libro Brancaccio

Brancaccio - Le viscere di Palermo

(Sinossi)


Brancaccio è un quartiere a nord di Palermo. Il feudo dei fratelli Graviano, le strade di Don Pino Puglisi. La ferocia della mafia e la grazia del martirio. Un luogo di frontiera, i cui abitanti spesso sono costretti a crescere prima del resto del mondo, a indurirsi di fronte alla vita. Un labirinto di cortili e vicoli che sommati misurano la distanza di appena un chilometro, specchio di una città spesso incomprensibile, com’è Palermo. Il libro racconta la storia di S., un uomo nato e cresciuto nelle viscere del quartiere. Per anni la sua vita è un continuo viavai dal carcere. Poi arriva Don Pino Puglisi. E con lui, la possibilità di un altrove, un’alternativa alla criminalità organizzata. Il 15 settembre del 1993, sotto casa, il parroco di Brancaccio viene barbaramente ucciso dalla mafia. Insieme a lui crollano i sogni delle ragazze e dei ragazzi del quartiere. La rabbia e lo sdegno si acuiscono, come, tuttavia, l’impossibilità di alzare la voce. Per questo S. ricade vertiginosamente nella vita di prima, fatta di dubbia moralità e straniamento. Solo dopo aver toccato il fondo, S. darà inizio al suo personalissimo percorso di redenzione. "Brancaccio" è una storia di violenza e d’amore. Di buio e di luce. Una storia di sogni infranti, di cadute ma anche di insperata voglia di riscatto. Prefazione di Nello Trocchia.

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